Redapolis Music, il blog di Luca Redapolis, esplora la musica di ieri e di oggi con un focus su dischi recenti, usciti per etichette indipendenti o autoprodotti.
All’interno dell’articolo
ogni volta ci sarà il link per la playlist Youtube creata con l’album
all’interno del canale dell’associazione culturale Trasimeno Prog(iscrivetevi se potete, grazie), corredato da una descrizione per
il lavoro in oggetto e dalla tracklist del disco.
“Brain salad surgery”, pubblicato il
19 novembre del 1973,è il quinto album
in studio del gruppo britannico Emerson, Lake & Palmer.
The Bustermoon – The Other Pocket
(Autoprodotto, 2023)
Ci sono
dischi che richiedono del tempo per essere assimilati nel migliore dei modi, che necessitano più ascolti per poter apprezzare tutti i vari cambi di umori che contengono
ma ci sono altri dischi che dopo un solo ascolto ti rimangono già impressi e
questo non perché siano banali o scontati ma per quel sound semplice e diretto che
ti arriva dritto al cuore.
Di questa
categoria fa parte “The Other Pocket”, ultimo album dei genovesi The
Bustermoon.
Ispirarsi al rock degli anni '70 può essere un'arma a doppio taglio, poiché si rischia di riprodurre ciò che è già stato fatto in modo banale. Tuttavia, esiste un'eccezione chiamata "Drive", l'ultimo e freschissimo album dei Rainbow Bridge, un gruppo rock pugliese.
Il trio composto da Giuseppe JimiRay Piazzolla alla voce e chitarre, Fabio Chiarazzo al basso e seconda voce, e Paolo Ormas alla batteria e percussioni, riesce nell'impresa di comporre dieci tracce di rock sanguigno, dal sapore stradaiolo, con notevoli jam chitarristiche, ma senza mai cadere nella banalità o ripetitività.
Certamente, le radici del rock degli anni '70 sono ben presenti, con richiami a leggende come Jimi Hendrix, Led Zeppelin e The Who, tuttavia i Rainbow Drive sono in grado di trasportare questo suono ai giorni nostri.
Questi ottimi musicisti si sono formati circa quindici anni fa, e dopo alcuni concerti dal vivo ed EP, sono giunti a "Drive", un progetto che considerano il loro più ambizioso fino ad oggi.
Le canzoni sono autentiche e sincere, confermando che questi ragazzi sanno scrivere e padroneggiano alla grande i loro strumenti. In particolare, la voce di Piazzolla ha un impatto notevole nelle tracce cantate.
L'album è idealmente suddiviso in tre parti: una dedicata alle canzoni, una ai brani strumentali e infine una lunga suite "concept" che incarna tutte le anime della band.
Aprite il vostro cuore e le vostre orecchie a brani come "Until My Wings Will Be Stronger", un potente blues hard che mette in mostra tutta l'abilità della band nel creare riff solidi e assoli mozzafiato. La voce disperata e intensa di Piazzolla marchia a fuoco questo brano.
Inoltre, non posso non citare "Black Monday", una ballad blues influenzata dallo stoner rock, in cui una sezione ritmica solida dà il via alla chitarra psichedelica di Piazzolla.
Infine, "Tears Never Here" merita una menzione speciale: una cavalcata di quindici minuti che racchiude l'essenza dei Rainbow Drive: sudore, strade polverose e assolate, energia e tanto rock'n'roll.
Tutti gli otto brani che compongono la scaletta del disco sono ottimi e lascio a voi la soddisfazione ed il piacere di scoprirli.
Se amate il rock diretto, acido, magnificamente interpretato e suonato con autentico gusto, non lasciatevi sfuggire questo disco se amate il rock degli anni '70."
Tracking List:
1. Until My Wings Will Be Stronger 06:35 2. Years of Beer 05:46 3. Black Monday 06:54 4. I Saw My Dad Play Air Guitar 05:03 5. Make Peace 07:45 6. Stills Drives 05:37 7. Tears Never Here 14:10 8. Coming Out 05:24
Arranged & Produced by Rainbow Bridge. Recorded, mixed and mastered by Cosimo Cirillo at New Born Records studio. Pic by JimRay - Artwork by Nesia_Earth
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“Camel” è l’eponimo album d’esordio
della formazione inglese, pubblicato nel febbraio del 1973.
Il gruppo si era formato negli anni
sessanta come "The Phantom Four", divenuta poi “Strange Brew”, “Brew”
ed infine “Camel” e suonerà come opener dei Wishbone Ash nel dicembre del 1971.
Il disco arriva nel momento in cui il
progressive rock aveva espresso forse buona parte del suo potenziale ma mostra
una band molto interessante con una proposta elegante dall’invidiabile tecnica
individuale.
Il primo brano è “Slow yourself
down”, ottima partenza con sonorità coinvolgenti; più tranquilla è la
successiva “Mystic queen”, quasi interamente strumentale con ottimi intrecci di
chitarra e tastiere.
Con “Six ate” si gioca su cambi di
tempo ed aperture di derivazione jazzistica; un altro ottimo brano.
Il primo lato si conclude con
“Separation”, con più spazio al canto ed un bell’assolo di chitarra.
“Never let go” apre la seconda
facciata ed è la traccia che caratterizza l’intero lavoro; chitarra acustica e
basso nella parte iniziale, quindi intrecci con le tastiere, la voce di Peter
Bardens ed un ottima sezione ritmica formano un quadro che rasenza la
perfezione.
Con “Curiosity” ci si avvicina alla
fine del disco; sempre i cambi di ritmo ad imperversare mentre protagonisti
sono il pianoforte, le tastiere e la chiatarra nel finale.
Chiude lo strumentale “Arubaluba”,
brano che diverrà un caposaldo dei concerti della band; tra suoni sinfonici e
ritmica possente davvero le idee non mancano.
Un debutto importante per una delle
formazioni perno della proposta progressive della Terra d’Albione;
assolutamente da riscoprire.
La tracklist
dell’album: Lato A:Slow yourseldf down;Mystic queen; Six ate; Separation /
Lato B: Never let go; Curiosity; Arubaluba
La
formazione che suona nell’album comprendeva: Andy Latimer, chitarra + voce
solista nei brani: Slow yourself down e Separation; Peter Bardens, organo,
mellotron, pianoforte, sintetizzatore (Vcs3) + voce solista nel brano: Never
let go; Doug Ferguson, basso + voce solista nei brani: Mystic queen e
Curiosity;Andy Ward, batteria e
percussioni / Ospite: Eddie, congas nel brano: Slow yourself down.
Se crediamo
che il rock sia defunto e che non abbia più nulla da comunicare, penso che
stiamo commettendo un errore. In realtà, ciò che è morto nella maggior parte di
coloro che si definiscono "appassionati di musica" è la curiosità e
il desiderio di ascoltare qualcosa al di fuori dei soliti nomi noti che ci
cullano nella nostra "zona di comfort". Dovremmo invece provare ad
esplorare artisti e gruppi sconosciuti, perché è proprio da qui che giungono le
piacevoli sorprese.
I Klidas sono un gruppo marchigiano al debutto discografico con "No
Harmony", si inseriscono perfettamente nella categoria delle piacevoli
novità.
L'album, che ho avuto il privilegio
di ascoltare in anteprima, sarà pubblicato il 2 giugno su vinile, CD e formato
digitale dall'etichetta australiana Bird's Robe Records. La formazione del
gruppo nasce 2014 nelle Marche e vede Emanuele Bury alla chitarra e voce,
Francesco Coacci al basso e voce, Samuele De Santis al sassofono, Alberto
Marchegiani alle tastiere e sintetizzatori, Giorgio Staffolani alla batteria,
Lisa Luminari alla chitarra e voce (live), Francesco Fratalocchi al sassofono
(live) e Manami Kunitomo come voce finale in "Arrival".
La loro miscela musicale abbraccia jazz, psichedelia, rock alternativo e
progressive rock. Pur essendo radicati in influenze come Secret Chiefs 3, The
Mars Volta, Radiohead, Pirate e Swans, la personalità del gruppo impedisce loro
di cadere nella trappola del già sentito, risultando in un suono fresco e
attuale.
Dal comunicato stampa si apprende che il potere evocativo delle parole,
delle immagini e delle forme musicali lascia spazio al silenzio, considerato un
elemento fondamentale e irrinunciabile nell'esperienza dell'ascolto. Da qui il
nome Klidas, una parola ceca che significa "gigante del silenzio".
Ma veniamo all'album, anticipato da tre singoli: "Shores",
"Not To Dissect" e "Arrival".
“Shores” apre l'opera,
con una chitarra dal sapore psichedelico che si intreccia con un sax dalle
sfumature jazz.
Segue "Shine",
caratterizzata da un approccio progressive di matrice canterburiana, con cambi
di umore tra momenti di silenzio e ripartenze che marciano il brano.
Il secondo singolo, "Not To
Dissect", richiama i King Crimson e mette in luce la qualità
strumentale dei musicisti.
Poi arriva un momento di calma con il terzo singolo "Arrival",
in cui il sax e la chitarra creano armonia, mentre la sezione ritmica detta il
tempo con precisione e fantasia.
La batteria introduce la dinamica di "Circular",
mettendo in mostra l'imponente muro di suono che la band sa creare.
L'album si conclude con la traccia psichedelica "The Trees Are In
Misery", in cui la chitarra disegna riff che colpiscono come un
pugno in faccia.
Si tratta di un album quasi interamente strumentale che mette in evidenza la
qualità compositiva e strumentale della band. Come accennato in precedenza,
riesce a regalare all'ascoltatore un suono che si proietta nel presente senza
dimenticare il passato.
Questo è un notevole esordio che ci fa ben sperare per il futuro della band,
in attesa del loro secondo lavoro. Avanti così!